Mario Marcucci nacque a Viareggio nel 1910 e dopo aver conseguito la licenzia media inferiore nel 1924, decise di imbarcarsi con il padre, capitano di piccolo cabotaggio, ed il fratello maggiore. Nonostante gli impegni di lavoro riuscì a proseguire la propria passione per il disegno e la pittura, coltivata fin da bambino.
Per Marcucci, l’ambiente familiare, umile, ma dai solidi valori, costituì un fondamentale punto di riferimento affettivo, che improntò la sua vita ad un’austerità dei costumi che distinse anche la sua pittura. Una semplicità di mezzi espressivi confermata dal frequente uso di supporti casuali come le pagine di un giornale, il foglio di un quaderno, il rovescio di una cartolina o un pezzo di carta da pacchi.
Le sue prime opere risalgono alla fine degli anni Venti e l’inizio degli anni Trenta e dimostrano la predilezione dell’artista per la pittura ad olio ed acquerello, attraverso le quali ritrae soggetti tratti dal contesto domestico e familiare. Questo su periodo artistico giovanile, viene solitamente definito dalla critica: naif e soggetto all’influenza dei grandi maestri del periodo macchiaiolo come Silvestro Lega e Giovanni Fattori.
Tra il 1930 ed il 1932 fu chiamato a svolgere il servizio di leva come furiere nel reparto marina a La Spezia, dove strinse amicizia con il pittore e scrittore Luca Ghiselli, con il quale instaurò un sodalizio intellettuale ed artistico, fondamentale per la sua formazione.
Marcucci ottenne il suo primo riconoscimento nel 1932, vincendo un premio di 1000 lire come primo classificato al concorso di pittura organizzato in occasione del premio letterario Viareggio, per l’opera Cabine sul mare.
In seguito al congedo militare fece ritorno a Viareggio, dove, pur non abbandonando mai la sua attività artistica, dal 1933 al 1938 amministrò una barca da pesca. Frequentando l’Eolo, il caffè-cinema-teatro, sul lungomare di Viareggio ebbe modo di confrontarsi con letterati, pittori ed intellettuali della Versilia.
Nel 1934 tenne una sua mostra presso il Kursaal, ovvero il casinò di Viareggio, accompagnata da una recensione di Gino Parenti, figura attraverso la quale si avvicinò allo stile di Scipione (Gino Bonichi) e Mario Mafai. Successivamente, nel 1937, vinse, a pari merito con Fabio Sargentini, il Premio Viani, ottendo la stima di Carlo Carrà, il quale lo segnalò in un articolo dell’ “Ambrosiano” come una delle più spiccate figure della giovane pittura italiana.
Negli anni seguenti continuò a conseguire numerosi premi e riconoscimenti da parte di intellettuali, letterati e critici d’arte, e grazie alla personalità di Alessandro Parronchi fu introdotto nella cerchia dei letterati di Firenze, ma poco dopo essersi trasferito in città, nel 1939, fu richiamato alle armi ed inviato in Sardegna, nell’isola della Maddalena, dove rimase fino al 1941.
Nel 1940 espose presso la Galleria Il Milione di Milano, dove la sua pittura fu messa in rapporto con quella di grandi artisti come Giorgio Morandi, Ottone Rosai e Filippo De Pisis.
L’anno seguente avvenne il riconoscimento ufficiale della sua pittura, a livello nazionale, grazie alla vittoria del III Premio Bergamo, uno dei concorsi di maggior prestigio in Italia.
Nel dopoguerra il suo stile mantenne una linea lontana da quella delle correnti influenzate dalle ideologie politiche che dominavano nel dibattito sull’arte, proseguendo il suo percorso in direzione di una pittura più intimista e tonale.
Dopo la vittoria alla Galleria Il Fiore di Firenze, nel 1945, e del premio Prato, nel 1948, prese parte alla V Quadriennale di Roma e nel 1948 fu invitato alla XXIV Biennale di Venezia, dove rimase colpito dalle opere di Picasso, come testimoniano alcune delle sue opere di derivazione cubista.
Con gli anni Cinquanta la sua attività espositiva si fece meno vivace e dopo un soggiorno romano, fece ritorno a Firenze, nel 1966, a seguito della distruzione del suo atelier da parte dell’alluvione e poi definitivamente a Viareggio.
Nel 1968 la Galleria Farsetti di Prato gli dedicò una mostra con 100 opere, raccogliendo nel catalogo i contributi dei suoi estimatori, e le Edizioni Pananti di Firenze iniziarono la pubblicazione dei “Quaderni Marcucci”, dal 1984 al 1987, costituite da piccole raccolte tematiche a corredo di mostre.
Morì nel 1992.
Mario Marcucci fu un autodidatta, refrattario a qualsiasi inserimento all’interno delle correnti artistiche della prima metà del Novecento, che sviluppò e mantenne un linguaggio pittorico personalissimo, influenzato soprattutto dagli scambi culturali con importanti personalità della cultura italiana. Ad ispirare le sue opere fu il paesaggio viareggino, ovvero la sua terra natale, con i suoi colori e le sue atmosfere, che rappresentarono per l’artista un punto di riferimento costante. Attraverso un’attenta modulazione di luci e colori, egli riprodusse strade, piazze, pinete, marine, scorci cittadini, ma anche nature morte, indagando in questi luoghi tutte le possibili variazioni di un linguaggio tonale e facendo trasparire le sue sensazioni interiori. La ricerca coloristica è per Marcucci quasi un’ossessione, che lo portò a condurre le sue sperimentazioni artistiche servendosi dei materiali più disparati come supporto alla sua produzione ad olio o acquerello. Il colore è per lui un mezzo per catturare le forme della realtà da lui rappresentata, fortemente caratterizzata da un’interpretazione personalissima.